Monday 9 July 2018

Toulouse 2018

Spending some days at a remote see side village in the South of France, I have savoured the hearth of Europe in all tis beauty and contradiction.  Here everybody is French and speaks French but a handful of European tourists desperately trying to communicate in English with the local butcher who is both bemused and desperate to help the weirdos using the only 6 words he has ever learned in English, most of them being yes or not and - more to the point - bargain.
As a silent observer, I have written some pieces and notes to express my love for Europe and all its represents, a declaration of love for what I feel is my own country and my own family.
And as in every family it is good to make fun of old uncle Stuart who collects old cars and has just bought a fifth one.
I will make fun of my European fellows talking about their little manias and faults not because I do not like them but because I love them.

Sunday 5 November 2017

Skiing in the UK

Ecco, l'ho fatto. Ci ho messo 17 anni. Oggi ho trovato il coraggio e ci sono andato. A sciare. Nello UK. Non sulle montagne. Qui non ci sono. Nel garage. In un grande edificio che sta vicino a Leeds, nel pieno della campagna del Nord. Insomma fa conto un grosso garage con due ski-lifts e una discesa di una ventina di metri. Piatta, a parte una ventina di gobbe su di un lato per i boarders.

Come è stato?  Eh insomma è stata un'esperienza, di quelle che ti formano.
Entrando, la prima cosa che vedi è la pista da slittino. 10m x 10m. E poi venti bambini con la loro brava slitta. Che fanno la coda per scendere. Tutti con il casco.  E tu pensi alla pista di Bardonecchia dove 200 persone si lanciano giù per una pista a rotta di collo su bob improvvisati e ti chiedi come è che sei ancora vivo.
Poi la pista. Corta, con due piccoli ski lifts ai lati.  Tipo Biancaneve a Bardonecchia.
Gli ski lifts vanno su pian piano e si fermano ogni due o tre minuti quando uno dei bambini cade. E siccome tutti i bambini sono con il maestro, lo schema è lo stesso. Il maestro precede i bimbi. Quando uno dei poveretti cade, l'inserviente blocca il lift. I maestri si girano e quello che ha il bimbo caduto scende a tirarlo su. Poi prende un altro piattello. Siccome sono bassi puoi prendere il primo piattello libero da ogni punto. Poi i lift riparte. Fino al prossimo bambino.
L'uscita dallo ski lift è stupenda. Tutti sanno che quello è il momento più difficile. Tu ti stacchi dal piattello e sei in una posizione instabile e quindi capita che qualcuno cada. In genere i normali lifts - montagna permettendo - hanno un bello spiazzo largo. Questo no. Finisce contro un muro. Hai tre metri per fare una curva a gomito che inspiegabilmente è l'unica parte della pista che è gelata. Il lift si ferma ogni paio di minuti in modo che l'inserviente possa staccare l'ennesimo bambino che si è spiattellato contro il muro. Bravo l'arredatore che ha messo un materasso proprio contro il muro e lo ha scelto di un colore che non fa vedere il sangue del naso e la pelle che ogni giorno un centinaio bi bimbi ci lascia sopra.
Però per fortuna, non tutti si schiantano e quindi tu arrivi in cima. Dove lasci il piattello che - visto lo spazio esiguo - ti torna violentemente in testa.
Ora sei sulla pista. La neve ricorda la farina in cui mia mamma metteva l'uovo quando faceva le tagliatelle il sabato. Bianca, un po' farinosa, molto appiccicosa.
Ma è il momento di lanciarsi sulla pista. E subito ti senti Franz Klammer in un mondo di giovani Graham Bells. Per due ragioni. Primo perché Franz Klammer ha come minimo 70 anni. E qui l'eta' media è 14 anni. Dodici del bimbo medio e 20 dei maestri. Secondo perché tutti sciano come Bell. Immagino che qualcuno se lo ricordi, il Bell. Partecipava alle olimpiadi con numeri altissimi e scendeva giù con un fenomenale stile ziapina. Ecco, qui tutti sciano un po' così, anche i maestri.
E tu ti senti Franz Klammer. Ottantenne con un ottimo stile.

Anche qui c'è la normalità, però. C'è Dan, maestro di sci, col capello lungo, che tacchina le inservienti spiattellatrici bionde. Dan non scia come Bell. No, lui ha stile. Più Fausto Radici che Klammer, però,  il membro della Valanga Azzurra che aveva un occhio solo. Spericolato, coraggioso e veloce ma che ogni tanto sbagliava le misure e inforcava il paletto. Ecco, anche Dan inforca a caso i paletti. Però Dan è bello, e quando inforca il paletto i suoi groupies (una decina di bambini e bambine) fanno un'ovazione. Perché ovviamente lo ha fatto apposta. (erm).
E poi c'è il gagnetto tagliacode. Perché si sa ce n'è sempre uno. Le code sono il cruccio dello sciatore. E qui le code sono lunghe. C'è stato un momento dove ci saranno state almeno sei persone in coda. Ho dovuto aspettare più di venti secondi per lo ski lift. E quindi l'impaziente gagnetto saltacode mi è schizzato davanti. Ha ragione pure lui, poveretto.
Ho sciato due ore.
È valsa la pena.
Sciare è una cosa che ti apre il cuore. Senti le montagne anche se non ci sono.
Ci tornerò?
Sì, con buona pace dei 23 pinguini che sono morti in Antartide per tenere fredda la neve della pista oggi. Non sono morti invano.







Sunday 28 July 2013

Luoghi comuni alla torinese

Quando ero un adolescente molto irrequieto e sicuramente molto arrogante, sempre la mia rabbia si scatenava contro un certo numero di simboli del vecchio mondo: uno di questi era l'eterno cicalare senza motivo delle madamine torinesi. Un chiacchierare incessante e - apparentemente - solo fatto per il gusto della compagnia e dello stare insieme. Pieno di luoghi comuni che non avevano vergogna di essere banali ("un tempo qui era tutta campagna", "al giorno d'oggi i giovani non vogliono piu' lavorare", etc.). La cosa piu' inquietante per me era il continuo darsi ragione senza realmente ascoltare gli altri.
Ricordo mia madre presentarmi dei figli delle sue amiche con cui avevo poco o nulla  con cui spartire e aspettarsi che io facessi lo stesso. "Avete la stessa eta', chissa' quante cosa da dirvi avrete!". Nessuna. Io non chiacchiero a vanvera (mi pare di avere gia' menzionato che ero arrogante).
Ma davvero quelle chiacchiere erano per me il simbolo di un vecchio mondo che non mi piaceva.

Ora che non abito piu' li', ora che sono cresciuto e - mi auguro - ho maggiore tolleranza del vecchio mondo,  ho avuto una esperienza paradossale che un tempo avrei vissuto come una vittoria e che invece oggi mi ha lasciato sorridente. E non per scherno o rabbia. Solo allegro.

Il mio papa' quasi ottantenne e' caduto qualche giorno fa, ha battuto la testa ed ha un perdita totale (e si spera temporanea) della memoria. Oggi l'ho portato nel giardino dell'ospedale a sedersi su una panchina e ci siamo trovati - come in un sogno per me - improvvisamente avvolti da uno di questi circoli delle chiacchiere. Ad  onore del vero piu' della meta' erano uomini, ma i discorsi erano gli stessi. "Questo ospedale e' il migliore in Europa, come questo non ce ne sono altri", "non me ne parli io abito a Rivoli e l'ospedale ti opera come facevano 50 anni fa", etc.).
Io in questi casi sono tremendamente imbarazzato. Sono abituato al discorso scientifico che richiede prove ("e su quali basi questo sarebbe il migliore d'Europa? E come fa lei a sapere che quelle tecniche sono quelle di 50 anni fa, etc.). Insomma sono un piantagrane che non sa stare al gioco. Quindi sto zitto.
Mio papa' invece ha fatto della sua capacita' di chiacchierare la base del suo successo lavorativo. Lavorava in banca e faceva prestiti agli artigiani ed agli agricoltori. Gente che se non sei dei loro non ti ascolta. Mio papa' in parte era dei loro, viste le sue origini di campagna, ma soprattutto era capace di ascoltarli ed a comunicare. Lui piemontese era in grado di parlare agli agricoltori pugliesi e diventare uno di loro anche se solo per una mezzora.
E quindi oggi quando il gruppo ha cercato di coinvolgerci (ed in particolare una signora che era la piu' vicina), io mi sono ammutolito, mentre mio papa' (che ricordo e' senza memoria) e' salito in cattedra. Usando un talento che e' ovviamente innato e non affetto dalla mancanza di memoria, ha iniziato una conversazione con la signora al limite del cicaleccio che e' durato un buon cinque minuti.
Ora la mia posizione durante la chiacchierata era specialissima. Se da una parte ero affascinato da questo talento che emergeva dai meandri della sua mente confusa, dall'altra cercavo disperatamente un modo per comunicare alla signora la sua confusione senza che lui fosse umiliato. Risultato: sono stato zitto per cinque minuti. I discorsi e gli argomenti del mio papa' erano affascinanti: convincenti, sempre  attenti alle istanze della signora, sempre pronto a darle ragione e a riprendere i suoi argomenti. Solo... erano totalmente incoerenti. Non avendo memoria a breve termine diceva tutto ed il contrario di tutto; alcune affermazioni poi erano completamente illogiche, oppure contenenti parole spurie che avevano preso il posto di altre senza vergogna.
La signora, da brava madamina torinese o non se ne accorta o semplicemente ha continuato il gioco del seguire l'interlocutore e dare ragione. O forse ha avuto empatia nei confronti di una persona anziana che oggettivamente sembrava un po' male in arnese.
A me comunque sembrava di essere in un'opera di Samuel Beckett con i due personaggi che si scambiano luoghi comuni ed sono totalmente incoerenti.
Quando la signora, sorridente e felice si e' alzata per tornare nell'ospedale con suo figlio, il babbo l'ha salutata allegramente. Poi, come in un'opera dell'assurdo, si e' improvvisamente bloccato. Ha guardato il palazzo dove la signora era entrata, e con aria sorpresa mi ha chiesto: "ma questo palazzo li' davanti: cos'e'?".  Era - inutile dirlo - il palazzo dell'ospedale sulla cui bonta' mio padre aveva discettato a lungo con la signora.

O ra non so se la signora ha davvero mirabilmente mostrato rispetto ed empatia per l'interlocutore anziano o no. L'adolescente che ancora qualche volta affiora e' scettico.
Io pero' ora sono piu' vecchio, ho meno cose da dimostrare e - soprattutto - non devo ascoltare troppo spesso le banalita' che emergono in questi circoli, quindi sono piu' tollerante ed in fondo affascinato. A me piace pensare che l'interminabile cicaleccio delle madamine torinesi non serve a creare nuove verita', non serve a cambiare il mondo, non serve ad allenare la propria capacita' dialettica, ma solo a stare insieme, possibilmente allegramente, possibilmente cercando e dando empatia.

Sunday 6 December 2009

Identita' e individuo




Ogni volta che vengo a Torino qualcosa si strappa dentro. Divisione tra  ritrovare e perdere identità'.

Da una parte sentire di essere tra uguali. Il capire senza fatica i messaggi culturali. Le lingue e gli accenti. E persino i doppi sensi e le implicazioni del linguaggio e dell'essere. Casa.

Dall'altra la perdita di identita'. Vivere all'estero significa essere l'odd one out, il diverso. La tua identità e' chiara. Qui invece trovo tanti piccoli coriandoli della mia identita' nelle persone per strada. Un'espressione, un accento o forse solo una cosa sciocca detta.  Ma non sono miei, sono loro. Riviste ed interpretate. E' come se mi facessi ad ogni istante la stessa domanda: ma allora, io chi sono?

Thursday 3 December 2009

Minareti e Tolleranza

La faccenda mi ha interessato parecchio. Ho letto articoli su giornali italiani ed inglesi. Italiani tendenzialmente superficiali e additanti il "caso", la polemica (a leggere il Corriere e La Stampa tutti polemizzano su tutto anche quando si legano le scarpe), i futuri problemi degli svizzeri che non venderanno piu' cioccolato agli arabi. I veri problemi insomma. Gli inglesi piu' orientati a riportare le opinioni in modo obiettivo ed asettico, chiedendo a tutti, anche al portiere della nazionale che ha un cugino che una volta e' stato in Siria e che quindi qualcosa da dire ce l'ha. 

Ho cercato di formarmi un'opinione. Non che conti nulla, non essendo svizzero. Ma per capire. 
Ecco. Io sono a favore del bando dei minareti. Per naturale avversita' a tutte le dimostrazioni di religione militante. Contro i creazionisti, quelli che ti vogliono imporre uno stile di vita, quelli che vogliono imporre la loro visione come assoluta e corretta. In fondo nessuno dice che i Muezzin (o chi per loro) siano poi tanto illuminati. Generalmente il contrario. E poi, checche' ne dicano i fabuonisti, e' vero che i centri islamici sono i posti in cui i terroristi si sono allevati. London bombing insegna. 


Ma come, io che sono cosi' tollerante, di sinistra e progressista? Si' si', lo so che il buonismo e' uno dei grandi miti della sinistra italiana. Intolleranti come tutti gli altri (i nemici sono sempre poco intelligenti e scorretti e generalmente finiranno nella spazzatura della storia), ma convinti di essere buoni e tolleranti perche' organizziamo balli etnici al festival dell'unita'.

Poi ho letto un articolo su di un giornale austriaco (grazie a dio riesco ancora a leggere il tedesco). Il titolo: ma i terroristi non hanno bisogno di minareti. E spiegava come mettere il bando ai minareti era un modo in cui la maggioranza dice alla minoranza quello che deve o non deve fare, come deve vivere. Insomma la maggioranza era intollerante non nella forma ma nella sostanza: io non ti voglio lasciare parlare/fare/costruire perche' tu sei un intollerante e in futuro mi impedirai di fare/parlare/costruire. Il nemico da schiacciare prima che diventi pericoloso. La storia di tutte le guerre e sopraffazioni. 

Allora non sono piu' contrario alla costruzione dei minareti. ma non nel solito modo. In modo che la gente sia contenta. 

Ecco, io propongo che vengano costruiti in tutta la Svizzera usando il cioccolato invenduto nei paesi arabi. Ce ne dovrebbe essere un sacco e quindi bastare.  Cosi' gli arabi saranno grati e compreranno il doppio del cioccolato di prima. Per costruire campanili. 

Il mondo alla rovescia. E soprattutto tanto cioccolato da mangiare gratis. Quando cammini per strada saremo tutti contenti che ci sia una moschea nei paraggi. yummm